Alberto Sordi, quanto ci manchi…

Alberto Sordi… diciotto anni senza di te sembrano un secolo intero!
E’ vero, i miti come te sono immortali, ma così dobbiamo immaginare noi quello che sarebbe stato e siamo consapevoli che non sarà mai grandioso come ciò che avresti fatto realmente tu.
Il 24 febbraio 2003 moriva nella sua amata Roma l’icona assoluta dell’italiano nel mondo.
Nei quasi 200 film a cui ha preso parte, ha dato vita a personaggi che rimarranno per sempre parte dei miti del cinema e ha citato frasi che per sempre verranno utilizzate come espressioni comuni da ognuno di noi,
tanto che diverranno quotidiane anche per le generazioni future.
Ditemi che parole vi vengono in mente a guardare l’immagine qui sotto!

Alberto Sordi in "Un americano a Roma" nella scena più celebre in cui divora i maccaroni
Alberto Sordi nella celebre scena di Un americano a Roma, 1954

Guardando sue interpretazioni immemorabili, come Un borghese piccolo piccolo (1977) ci si chiede come sia stato possibile che gli ci volle un decennio sulle scene, per guadagnarsi il posto d’onore di cui era veramente degno.
Infatti fu solo grazie a I Vitelloni (1953) di Federico Fellini, che riscosse realmente successo… eppure aveva già fatto parte del mondo del cinema in tante pellicole prima di allora!
Altrettanto incredibile è pensare che, proprio a causa della sua inflessione romanesca, venne espulso dall’Accademia dei Filodrammatici di Milano… del resto, le regole sono regole. E ogni strada che ci viene sbarrata davanti, ci obbliga a deviare su altre che alla fine ci portano alla meta che vogliamo raggiungere.
Se non fosse stato rimandato a Roma, non avrebbe cominciato a fare comparsate nei film girati a Cinecittà e non avrebbe neppure intrapreso la sua carriera da doppiatore: fu grazie alla casualità della vincita di un concorso di MGM che prestò per la prima volta la sua voce a Oliver Hardy, il famosissimo Ollio del duo comico, nel ridoppiaggio della pellicola Sotto Zero, cortometraggio girato nel 1930.
Alberto Sordi aveva appena 17 anni ma la sua voce era così ben formata e definita, che fu proprio il direttore della Metro-Goldwyn-Mayer a volerlo. Le cose che spettano a noi, faranno in modo di trovarci.

Stanlio e Ollio suonano sotto la neve in una scena di "Sotto Zero"
Il duo comico Stanlio e Ollio in una scena di Sotto Zero, 1930

Se è vero che, in questo ambito così come in quello attoriale, è ricordato molto facilmente per la sua comicità, bisogna riconoscergli anche un’eccezionale credibilità nei ruoli drammatici che gli hanno consentito di sfoggiare ampiamente tutte le sfumature della sua bravura.
Nel già citato Un borghese piccolo piccolo, ad esempio, per la regia di Mario Monicelli e in cui lo vediamo a fianco di un giovane Vincenzo Crocitti. Proprio grazie a questa pellicola impegnata, quest’ultimo vinse un premio speciale ai David di Donatello, nonché il Nastro d’Argento al miglior attore esordiente. Alle stesse rassegne, Sordi vinse il premio di Miglior attore protagonista.

Alberto Sordi e Vincenzo Crocitti in una scena di "Un borghese piccolo piccolo", per la regia di Mario Monicelli, 1977
Alberto Sordi e Vincenzo Crocitti in una scena di Un borghese piccolo piccolo, 1977. Il primo interpreta il padre del secondo.
Un primo piano di Alberto Sordi in "Un borghese piccolo piccolo"
Un primo piano carico di emozione di Alberto Sordi, nella stessa pellicola.

Certo non c’è da stupirsi se un attore così poliedrico, una colonna portante del cinema nostrano, abbia lasciato un segno profondo anche negli anni successivi alla sua scomparsa. Tanti premi cinematografici ora portano il suo nome, così come l’imponente Galleria Alberto Sordi di Roma, che fino al 6 dicembre 2003 si chiamava Galleria Colonna, dal nome della piazza che la ospita.
Uno dei punti più conosciuti e importanti della capitale, dato che si tratta anche di una delle sedi della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Albertone nazionale è un vero e proprio simbolo dell’Italia nel mondo e la sua innata bravura nel comunicare è stata suggellata anche dalle due lauree ad Honoris Causa proprio in scienze della comunicazione, arrivate una dallo IULM di Milano ed una dall’Università di Palermo, entrambe appena un anno prima della sua morte. Nonostante le sue difficoltà, dovute alla malattia che lo stava portando via, presenziò ad entrambe le cerimonie. Riposava invece già in pace nella sua tomba di famiglia nel cimitero romano di Campo Verano, quando in suo ricordo gli venne conferita la Medaglia d’Oro ai benemeriti della cultura e dell’arte il 25 marzo 2003.
Eppure noi lo sappiamo che sarà stato lì, a sfoggiare il suo eterno sorriso sornione, guardando quaggiù, da quell’asteroide che gli è stato dedicato e che porta il suo nome.

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Testo a cura di Micol Uberti
Fotografie via web

Alberto Sordi, il mito a tavola è servito

Cent’anni fa oggi, nasceva un grande mito del cinema italiano: buon compleanno, Alberto Sordi!
Chi più di lui poteva meritare un ricordo speciale qui, tra le pagine digitali di questo mondo fatto di ricette e cibo?

“Maccherone, mi hai provocato e io ti distruggo, adesso maccherone io me te magno!”.

Alberto Sordi nella celebre scena dei maccaroni in "Un americano a Roma"

Chi non ha sentito almeno una volta questa esclamazione associata al grande Alberto Sordi? La frase arriva dalla famosissima scena tratta da “Un americano a Roma” diretto da Steno (lo sapete vero che Steno, altro caposaldo della cinematografia italiana, è lo pseudonimo di Stefano Vanzina, padre dei celeberrimi fratelli Vanzina?). Tornando ai nostri
maccheroni, chi li mangia è Nando Mericoni un giovanotto senza arte né parte (interpretato da Sordi) che mitizza gli Stati Uniti, tanto da scimmiottare i comportamenti alimentari americani e schifare i canonici spaghetti sostenendo di voler mangiare pane e mostarda, inzuppato nel latte. Salvo addentare poi la fatidica fetta, gettarla ed esclamare
“ammazza che zozzeria”, sputando tutto per tornare ai suoi amati maccheroni e “magnarseli”. Così, tra una forchettata di pasta e l’altra, stila un elenco della fine che faranno il latte “questo lo damo ar gatto”, “questo al sorcio” guardando lo yogurt e con la mostarda (in realtà senape) ci vuole “ammazzare le cimici”. Ma non ci sono solo i maccheroni di “Un Americano a Roma” nella vita cinematografica di Alberto Sordi.
Ripercorriamo altri esempi del suo rapporto con la cucina, nel centenario della sua nascita.
Altra scena mitica è quella ambientata a Venezia e tratta dall’episodio “Le vacanze intelligenti” all’interno del film “Dove vai in vacanza?”.

Alberto Sordi in una scena de "Le vacanze intelligenti"

Qui Sordi interpreta un fruttivendolo romano i cui tre figli, che hanno studiato e frequentano ambienti intellettuali, organizzano per lui e la moglie delle “vacanze intelligenti” appunto, con un programma che prevede, oltre a una ferrea dieta, visite culturali comprese quella alla Biennale di Venezia. Ed è proprio lì che Sordi e consorte cinematografica, dopo essersi ribellati a diete e incomprensibili performance artistiche si fermano in una trattoria e, armati di tovaglioli legati al collo, mangiano tutto ciò che gli capita a tiro, emulati da principi e contesse che, come loro si abbuffano di salsicce con i fagioli, pappardelle al sugo di lepre e chi più ne ha più ne metta. Ne “Il marchese del Grillo” protagonisti sono invece i rigatoni, esattamente con la “pajata” (piatto della tradizione romana composto da pasta e interiora di vitello).
Potremmo continuare ancora a ripercorre, con l’aiuto di altri celeberrimi film, il percorso gastronomico di Alberto Sordi nelle varie pellicole cinematografiche dove lui, con piccoli gesti, espressioni facciali e frasi passate alla storia, riesce a rappresentare stati d’animo e situazioni psicologiche sedendosi a tavola. Spessissimo nei suoi film lo troviamo di fronte al cibo, a rappresentare le condizioni sociali dell’epoca ma per certi versi attuali ancor oggi. Per concludere, una curiosità: tra tutti questi piatti, sapete qual era il suo cibo preferito? Per Alberto Sordi non era domenica senza un piatto di fettuccine seguito dall’abbacchio scottadito (piatto laziale a base di costolette di agnello spalmate con burro
ammorbidito prima di grigliarle). Un pranzo all’insegna delle leggerezza, insomma! Infatti puntualmente per Sordi seguiva la pennichella sulla sua amata poltrona e, raccontava, l’abbiocco veniva sempre guardando Pippo Baudo in tv (protagonista indiscusso della Rai dell’epoca) e ritrovandolo ancora lì, sullo schermo, al suo risveglio.
Alberto Sordi rimarrà sempre nel cuore di noi italiani, lui che è stato un simbolo della nostra nazione e che si fa amare anche dalle generazioni che non lo hanno conosciuto direttamente.
E allora alziamo il bicchiere insieme a lui, da lassù e… tanti auguri, mito!

Alberto Sordi in una scena de "Il Marchese del grillo"


Testo a cura di Franca Bergamaschi
fotografie via web
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La mafia uccide solo d’estate (ma strappa la vita ogni giorno, anche in inverno).

Esattamente cinque anni fa, il 28 novembre 2013, nelle sale cinematografiche italiane usciva un film destinato a diventare un grandissimo successo e ad accogliere il favore della critica più disparata.
Opera prima di Pierfrancesco Diliberto, meglio conosciuto come Pif, La mafia uccide solo d’estate è molto più di una semplice commedia e molto più di un ritratto della realtà drammatica della Sicilia degli anni ’80.

Che poi, dico anni ’80 per fare una media: la pellicola (in cui nulla, dai costumi agli arredamenti, alle auto, alle espressioni parlate, è lasciato al caso) comincia nel dicembre del 1969 e si conclude a fine anni ’90, all’incirca.
Non è una questione di pignoleria, questa specifica. In un film come questo, la temporalità è fondamentale. Ci troviamo di fronte ad uno spaccato della vita quotidiana della Sicilia che, in quel periodo storico, si vedeva continuamente dilaniata dagli attentati della mafia. Avrete già capito, dal modo in cui scrivo, che questo film mi è piaciuto parecchio. Avete capito bene! E’ proprio così!
A dispetto di quanto abbia letto in alcune recensioni, che lo hanno definito irrispettoso per la leggerezza con cui vengono raccontati i fatti di Cosa Nostra, io l’ho trovato estremamente delicato. Leggerezza e delicatezza sono ben diversi dalla superficialità.
In fin dei conti, le vicende sono vissute dallo spettatore, per la maggior parte del lungometraggio, attraverso gli occhi di un bambino. Un bambino, Arturo Giammarresi, con grandi sogni e grande confusione rispetto all’impetuosità con cui si susseguivano le tragedie dell’epoca. Concepito nella notte della strage di Via Lazio, il suo destino era già segnato. Gli stratagemmi che il regista (che in questo caso è anche attore, voce narrante e fonte di ispirazione principale per la scrittura del protagonista) utilizza per raccontare ciò che stava accadendo, a mio parere, sono pura genialità.
Vi propongo una scena che mi ha colpito particolarmente.
Guardate QUI in che modo, il mitico Pif, accompagna lo spettatore nell’introduzione all’attentato del 23 maggio 1992 a Giovanni Falcone, nella strage di Capaci.
Credo sia stata la sequenza che più mi è rimasta impressa. Unisce alla perfezione la freddezza con cui Riina uccide un uomo, l’impatto sonoro dell’esplosione della bomba distoglie bruscamente l’attenzione dalla visione di una quotidianità che tutti noi viviamo (una persona, seduta su una poltrona che guarda la televisione nel proprio salotto…) e ci sbatte, senza chiedere permesso, in una realtà che lacera l’animo umano. 
In poco più di 1 minuto di riprese, si vive con chiarezza (anche se, naturalmente con meno intensità) lo stato d’animo dei siciliani. Un’angoscia che si estendeva un po’ in tutta Italia. Ma ad avercele vicino, certe piaghe, è diverso.
Un’altra trovata azzeccatissima è l’intervista che Arturo riesce a strappare a Carlo Alberto Dalla Chiesa: la prima di una lunga serie per il primo e l’ultima per sempre del secondo. Un simbolico passaggio di testimone estremamente morbido e aspro al tempo stesso.
Parliamo un po’, invece, degli intrecci che stanno dietro alla cinepresa?
Perché secondo me, l’ottima riuscita di questo film è data anche dal perfetto equilibrio e dalla profonda stima reciproca che si è instaurata nel corso degli anni tra i componenti del cast, sia tecnico sia artistico.
Tutti noi conosciamo Pif per la sua partecipazione a Le Iene ed altri programmi televisivi, ma pochi sanno che è figlio d’arte (suo padre Maurizio è regista) e che la sua passione per il cinema lo porta, nel 2000, a fare da aiuto regista al collega Marco Tullio Giordano ne I cento passi. Qual è uno degli interpreti più bravi di quella pellicola? Claudio Gioè, che ritroviamo anche in La mafia uccide solo d’estate nei panni di Francesco, giornalista che spronerà il giovanissimo Arturo ad inseguire i suoi sogni. Se pensate che sia questo l’unico intreccio dietro le quinte che lega queste due pellicole, vi state sbagliando: anche il direttore di fotografia, infatti è lo stesso: stiamo parlando di Roberto Forza, scelto da Pif anche per il suo secondo film come regista, In guerra per amore.
Ok, ma invece la coprotagonista Cristiana Capotondi salta fuori dal nulla, non c’è nessun collegamento, direte voi. Non proprio. Se infatti ora è un’attrice affermata (e, a mio parere, molto brava) è grazie al film che l’ha fatta finalmente conoscere definitivamente al grande pubblico, il celebre Notte prima degli esami. Ve la ricordate al fianco di Nicholas Vaporidis? I due ragazzi, che poi sarebbero diventati anche una coppia nella vita reale, erano diretti da Fausto Brizzi, che si è occupato della regia di Pazze di me, dove Pif interpretava un improbabile filosofo innamorato della sorella più svampita (Marina Rocco) del protagonista (Francesco Mandelli). Se non lo avete mai visto, mi sento di consigliarvelo: fa morire dal ridere e non potrete non amare Loretta Goggi nei panni di una madre pazza e… decisamente impositiva.

Questa volta non ho consigli da darvi, prima di guardare questo film, nel caso non lo aveste ancora fatto… Non me la sento di mostrare così poca umiltà.
Anche perché mi trovo pienamente d’accordo con ciò che ha detto Roberto Saviano dopo averlo visto: “E’ un esperimento dolce e allo stesso tempo un racconto drammatico”.
E’ proprio così, parla di una realtà che mi è stata raccontata dai miei genitori, che ho letto sui libri di storia, di cui mi sono fatta un’idea ben precisa (credo… forse la verità non si saprà mai) ma che non ho potuto vivere in prima persona. 
Sono nata il 22 dicembre 1989, ero troppo piccola per ricordarmi certe cose.
So solo che il 19 luglio di tre anni dopo, il 1992, fu il giorno in cui perse la vita Paolo Borsellino, nell’orrenda strage di via d’Amelio, e che mia madre mi portò nella chiesa della nostra parrocchia e mi disse “Andiamo a dire una preghiera per due signori (per lei tutt’oggi, così come per tantissime persone, Falcone e Borsellino erano una cosa sola… e sono sicura che fosse così – ndr) che non ci sono più e hanno fatto tante cose buone per l’Italia”. Forse è per questo che la scena finale, che trovate QUI, di La mafia uccide solo d’estate mi è sembrata così vicina a me, alla mia vita, alla mia storia…
E sempre per questo ci tengo a concludere questo articolo riportando la frase che recita il Pif, perché possa essere letta e riletta, per capirne la profondità.

“Quando sono diventato padre, ho capito che i genitori hanno due compiti fondamentali.
Il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del mondo.
Il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla.”.

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Il giovane Arturo (un bravissimo Alex Bisconti) è appassionato di giornalismo…

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…e di Giulio Andreotti.

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Qui Alex a fianco di Claudio Gioè
Quest’ultimo, nel 2007, ha ricevuto complimenti da parte dello stesso Riina per il modo magistrale in cui lo ha interpretato nella mini serie tv Il capo dei capi

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Ad interpretare Boris Giuliano, poliziotto e capo della Squadra Mobile di Palermo
ucciso il 21 luglio ’79, è Roberto Burgio

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La bellissima Cristiana Capotondi è Flora,
assistente del sindacalista ed esponente della DC Salvo Lima, ucciso nel marzo del ’92

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Testo a cura di Micol Uberti
Fotografie via web