Ho sempre pensato che i film biografici fossero poco coinvolgenti, perché in fin dei conti raccontano qualcosa che è storia e che quindi conosciamo già.
Ma arriva sempre un momento nella vita in cui è necessario cambiare completamente idea… E quel momento è arrivato, sui titoli di coda di First Man.
Se avessi potuto, mi sarei scissa in tante Micol, per avere la possibilità di alzarmi in sala e fare una standing ovation a questo splendido lungometraggio.
Wow, che entusiasmo!
Sì, ragazzi, sì. Stiamo parlando di un vero e proprio capolavoro.
E se sui fatti narrati non si discute, anche perché l’unico che avrebbe potuto farlo (Neil Armstrong, ovviamente) non c’è più, andando a guardare regia e tutto il resto non si può che rimanere a bocca aperta.
Cosa mi ha colpito così tanto questa volta?
E’ evidente, innanzitutto, che il trinomio Chazelle (regia) – Sandgren (fotografia) – Gosling (main character) è semplicemente perfetto.
Non è solo il fatto che ognuno di loro eccelle nel proprio campo, è che… sanno mescolare queste eccellenze.
Tra l’altro ce ne hanno già dato prova in La La Land, nel 2016, un film che anche qualora non incontrasse i propri gusti personali, appare ugualmente valido a livello tecnico agli occhi di chiunque…
Ma torniamo a noi. Damien Chazelle: un giovane genio che fa della pulizia estetica il punto principale di First Man. Tantissimi primi piani che entrano nell’animo del protagonista, complici gli occhi di Ryan Gosling che sono una finestra spalancata sulle emozioni che sta vivendo, un ritmo che segue alla perfezione lo sviluppo psicologico di Armstrong, un utilizzo centellinato di musiche e un saggio inserimento di silenzi assoluti.
La combinazione di tutti questi elementi rende la pellicola così tanto intimista e calibrata che, ve lo giuro, alla fine dei suoi 141 minuti vi sembrerà di conoscere così bene Armstrong da poter prevedere con certezza cosa sarà della sua vita da quel momento in poi.
Anche senza aver letto i libri di storia.
Non mi stupisce affatto che questo regista si sia legato professionalmente ad un direttore di fotografia come Linus Sandgren: ve ne avevo già parlato bene settimana scorsa, nell’articolo dedicato allo Schiaccianoci della Disney e anche in questo film riconfermo la stima che provo nei suoi confronti. La fotografia di questo film è semplicemente eccezionale e anche alcune scelte stilistiche hanno aggiunto un valore non indifferente.
Di cosa parlo? Della grana che rende la pellicola un po’ vintage, una vera e propria chicca, che insieme alla ricerca sporadica di andare volutamente fuori fuoco han fatto sì che questo film si avvicinasse davvero al documentario, senza mai oltrepassarne però la soglia e rimanendo quindi uno spettacolo che ci fa capire che è tutto ben studiato.
E’ proprio quello slancio di creatività di cui, spesso, il cinema ha tanto bisogno!
Senza dubbio però, va detto, questo film non sarebbe stato altrettanto potente senza la perfetta espressività trattenuta di Ryan Gosling (che comunque, grazie ad un pianto viscerale che strappa il cuore, mette bene in chiaro che sa far venire i brividi anche quando gli si chiede di non avere filtri, nella sua interpretazione). Le inquadrature sono la tela su cui questo attore riesce a dipingere le emozioni di Armstrong con pennelli da micropittura, è davvero pazzesco. Basta un movimento impercettibile di un muscolo all’angolo della bocca per far entrare lo spettatore in un tunnel di empatia dove sul fondo appare chiaro ciò che sta pensando il personaggio.
Lungi da me dall’apparire una fan sfegatata di Gosling che dà tutto il merito esclusivamente alla sua bravura! Quel che è giusto, è giusto: aver avuto al fianco una coprotagonista come Claire Foy nei panni della moglie, ha completato il quadro. Da una parte la freddezza e la determinazione sfrontata di lui, dall’altra l’apprensione e la forza d’animo di lei.
Già solo per questo, gran parte dello scenario privato dell’astronauta è ben spiegata!
Insomma, sono certa che avrete capito già qual è il mio personalissimo voto per First Man. Esatto: un 10 tondo e pieno.
Ma sì, perché nonostante lo sforzo di cercare di cogliere anche gli aspetti tecnici, è stato in grado di assorbirmi, di lasciarmi qualcosa e di emozionarmi, nonostante la storia fosse già di dominio pubblico e nonostante si trattasse di argomenti lontani da me.
Ma un consiglio, come sempre, vorrei darvelo.
Preparatevi.
Entrate nella sala del cinema e sedetevi comodi su quella poltrona.
Preparatevi a guardare con rispetto questa pellicola e preparatevi ad essere sparati, ogni tanto, in un denso ed inaspettato silenzio.
Vi sembrerà di rimanere appiccicati all’improvviso a una dimensione surreale.
E sono proprio questi i momenti più stupefacenti del film, perché sono quelli che ci mostrano che non esiste universo più sconfinato di quello delle emozioni umane.
Guai a rompere l’incantesimo con un solo rumore.
Testo a cura di Micol Uberti
Fotografie via web
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Visto, condivido parola per parola.